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18/03/2012 - Carignano
L’utopia di Michela è
un’ambiziosa trilogia
Una scena dallo spettacolo di Giordana
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Martedì in scena il primo
allestimento di
Cescon e Giordana
SILVIA FRANCIA
torino
Bisogna essere tosti per lambire le coste dell’utopia, magari facendo un kolossal con 31 attori in scena e 68 persone, in totale, coinvolte.
E tostissima lo è di sicuro, Michela Cescon, malgrado l’apparenza esile e gentile. Così come ci appare, in un camerino del Carignano, presa a gestire, oltre ai suoi tre bambini – Angelica di 6 anni, già messa in pista, a fare un piccolo ruolo nello spettacolo, Violetta di 4 e Giovanni di 23 mesi – i compiti di manager. Ovvero, di produttrice della trilogia «The coast of utopia», successo dell’inglese Tom Stoppard (l’autore di «Rosencrantz e Guildestern sono morti» e della sceneggiatura di «Shakespeare in love»), per la prima volta allestito in Europa, con la regia di Marco Tullio Giordana, proprio per iniziativa di Michela.
Sguardo limpido, sorriso pronto e, si avverte, nervi saldissimi. Michela, che si è formata alla scuola dello Stabile torinese dove ha debuttato con Luca Ronconi nel ‘96, racconta la genesi di questo nuovo progetto.
«Avendo avuto tre figli, sul lavoro mi sono dovuta fermarmi per qualche anno. E, quando si fa uno stop, si vedono le cose con più distacco. Il teatro è la mia grande passione e ho capito che, in un momento così critico, non si poteva che rilanciare. Come in una storia d’amore o in un’amicizia, a volte occore decidere se buttarsi a capofitto o tirarsi in dietro. E mi ci sono buttata».
In camerino, una parentesi di quiete chiude fuori, per poco, in un fruscio di abiti ottocenteschi morbidamente destrutturati e chiome vistose, tutte le incombenze e i problemi che ogni giorno, assillano un produttore. Ruolo inconsueto per un’attrice.
«Non me ne pento, anzi, vorrei continuare, anche se desidero tornare in palcoscenico» dice Michela, che ha lavorato con registi come Malosti e Servillo e, al cinema ha debuttato con «Primo amore» di Matteo Garrone. «Ho letto lo straordinario testo di Stoppard e ho chiesto i diritti nel 2009. Dopodiché, ho pensato, per la regia, a Marco Tullio Giordana, che mi aveva diretta nel film “Quando sei nato non puoi più nasconderti”. Gli ho portato il testo e, pochi giorni dopo, lui mi ha detto: “Io ci sto”».
È una storia fatta di tanti «Io ci sto», quella che ha aggregato 68 persone, due teatri Stabili (di Torino e di Roma), oltre alla casa di produzione della stessa Cescon, la Zachar, in un progetto da 1 milione e 300mila euro.
«Certo, è una cifra che fa impressione, specie di questi tempi – ammette Michela – ma bisogna tenere conto che si tratta di 3 allestimenti per un totale di circa 8 ore di spettacolo, e che tutti lavorano a paga sindacale». Non solo regista, attori e tecnici, ma persino chi, come il torinese Mario Audello, che ha realizzato le parrucche, si è adeguato. «Diversamente non ce l’avremmo fatta. Il teatro è anche questo: 31 attori sul palco, scenografi del livello di Gianni Carluccio, costumisti come Francesca Sartori: tutti conviti da questo progetto». Tutti, meno il blasonatissimo cast annunciato in precedenza, in cui figuravano vip come Zingaretti, Lo Cascio, Alessio Boni e che, in locandina, hanno ceduto il posto a Luca Lazzarechi, Luigi Diberti, Paola d’Arienzo, Bob Marchese, Denis Fasolo, Giorgio Marchesi, Corrado Invernizzi, per citarne qualcuno.
«La questione economica non c’entra. Abbiamo preferito puntare su un gruppo di minore impatto mediatico. Non solo perché così, l’operazione risultava meno “a effetto”, ma anche perché gli spettatori potessero concentrarsi sul testo, piuttosto che sui singoli interpreti», precisa Cescon. Che spiega pure la scelta di un testo che ripercorre 35 anni di storia russa ottocentesca, attraverso le vicende di quattro personaggi – l’anarchico Bakunin, il rivoluzionario
Herzen, il critico letterario Belinskij e lo scrittore Turgenev – e dei loro amici.
«È un testo bellissimo. Che parla di ideologia e politica, ma anche di amore, morte, sentimenti. Non c’è nulla di pesante, anzi, si lascia seguire come una telenovela. L’utopia a cui si riferisce il titolo è quella coltivata dai quattro protagonisti che, in un periodo critico per la Russia, pensano che per risollevare le sorti del Paese si dovrebbe puntare sull’arte più che su economia e politica. Una tesi che fa riflettere, anche oggi: specie in Italia, dove all’arte e alla cultura viene riservato, ormai, un ruolo marginale. Ma domandiamoci: cosa sarebbe l’Italia senza Dante?». La trilogia debutta martedì alle 19,30 con «Viaggio» cui segue, giovedì, «Naufragio» e sabato, «Salvataggio»; la settimana successiva si bissa, nello stesso ordine
http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/ ... tp/446840/Händeringen hält einen nur davon ab, die Ärmel aufzukrempeln.